danni da morte

Il danno da morte (e danno tanatologico) è il danno derivante dalla morte di un soggetto a seguito di un’azione di terzi, tipicamente una lesione e in genere conseguente a fatto illecito altrui.
Si parla di danno tanatologico in caso di decesso avvenuto senza apprezzabile lasso di tempo tra lesione e morte, così da poter presumere che la seconda sia esclusivamente effetto della prima, potendosi perciò escludere altre eventuali ragioni per il decesso (ove fosse apprezzabile il tempo fra lesione e decesso si tratterebbe infatti di lesione aggravata da morte).
La morte di una persona in conseguenza di un fatto illecito (a titolo esemplificativo, a causa di un sinistro stradale, di un incidente sul lavoro o per medical malpractice) determina uno svantaggio giuridicamente rilevante non solo per colui che è direttamente offeso dalla condotta antigiuridica, ma anche per altri soggetti, prossimi al danneggiato, capace di ingenerare profonde sofferenze e alterazioni delle proprie abitudini quotidiane.

Nel corso degli ultimi anni la dottrina e la giurisprudenza, valorizzando il legame esistente tra il defunto e determinati soggetti a lui più o meno “vicini”, hanno elaborato il concetto di danno non patrimoniale cd. da perdita del rapporto parentale, dando la possibilità a queste “vittime secondarie” di agire (anche) per far valere un proprio diritto nei confronti del civilmente responsabile per chiedere il risarcimento del danno.
Il danno da perdita del rapporto parentale, che costituisce senz’altro il prototipo per eccellenza di illecito cd. plurioffensivo, è frutto di una rinnovata visione del danno da morte attraverso una lettura costituzionalmente orientata (con specifico riferimento all’intangibilità della sfera degli affetti e alla stabilità del rapporto familiare ex artt. 2, 29, 30 e 31 Cost.) delle disposizioni generali in tema di danno non patrimoniale, quali gli artt. 1223, 1226 e, in particolare, l’art. 2059 cod. civ..